Ignazio Cantoni, Cristianità n. 385 (2017)
Nota introduttiva a Il protestantesimo di Joseph de Maistre
Il conte savoiardo Joseph de Maistre (1753-1821) (1) è uno degli autori principali, se non il principale, della scuola cattolica contro-rivoluzionaria (2).
Uno degli elementi portanti del suo pensiero è l’aver identificato con estrema chiarezza il legame che intercorre fra la Riforma protestante, del 1517, e la Rivoluzione francese, del 1789. Tale legame viene fatto oggetto di attenzione sistematica nello studio, rimasto inedito lungo tutto l’arco della sua vita, Sur le Protestantisme, di cui ora Cristianità propone, in prima edizione italiana, la traduzione.
In esso viene affrontato l’aspetto più rilevante del protestantesimo, ossia la sua negazione di un’istanza autoritativa con l’incarico di costituire l’ultima parola sulla corretta interpretazione della Rivelazione.
Come noto, il protestantesimo sposta tale istanza, che nella Chiesa cattolica è rivestita dalla gerarchia ecclesiastica con a capo il Papa, nel libero esame della Parola di Dio da parte dei singoli fedeli. Secondo Maistre questa distruzione dell’autorità in ambito religioso è stata coerentemente trasposta dalla Rivoluzione francese in ambito politico, con la negazione non tanto della monarchia — che è una fra le tante possibili forme di governo —, ma della sovranità intesa come l’espressione ultima dell’unità della società umana.
Ogni società infatti, sia essa puramente umana o anche divina, per potersi dire tale deve trovare necessariamente un punto di unità inaggirabile. In modo molto provocatorio — e per certi aspetti foriero di equivoci — Maistre parla di «infallibilità» di qualsiasi autorità. È bene però chiarire questo punto: l’infallibilità che Maistre attribuisce a qualsiasi autorità è quella che, per esempio, balza all’occhio in modo lampante nel caso del potere giudiziario. Immaginiamo che una persona venga accusata di un delitto: essa viene giudicata e condannata; ha la possibilità di ricorrere in appello e si avvale di tale facoltà, ma viene nuovamente condannata; poniamo che l’accusato, a questo punto, possa ricorrere a un terzo grado di giudizio — come accade nell’ordinamento italiano, cioè «in Cassazione». Ma anche lì viene condannato. Ora: per Maistre è necessario che qualsiasi passaggio giudiziale abbia una fine, quanti siano i gradi di giudizio previsti; che si arrivi, cioè, a una sentenza definitiva, inappellabile; cioè fattualmente, formalmente — nel suo linguaggio — «infallibile», anche laddove la sentenza sia da un punto di vista veritativo ingiusta.
Cosa accadrebbe se ciò non avvenisse? Sarebbe l’anarchia: non esisterebbe cioè più alcuna società. Tale carattere dell’autorità è pertanto sostanziale e nulla contano le sue modalità di espressione e di esercizio, che derivano dalla storia, dalla prudenza, e dall’indole stessa dei membri di ciascuna società.
Maistre tratteggia tali problematiche utilizzando principalmente la storia francese durante le guerre di religione che l’hanno insanguinata per decenni, soprattutto nella seconda metà del secolo XVI, e che hanno visto terribili episodi dove gli «ugonotti» — cioè i protestanti francesi — si sono scontrati con i cattolici, fino all’Editto di Nantes, del 1598, dove re Enrico IV di Borbone (1553-1610) ha concesso ai primi libertà, pur dovendo riconoscere — non entro nel merito della sua sincerità — la necessità della sua abiura del protestantesimo, per non procurare una frattura insanabile fra il re e il popolo che avrebbe governato.
In tali decenni si è costituito, in Francia, uno Stato nello Stato, poiché l’Editto di Nantes prevedeva la creazione di zone franche, fra cui La Rochelle, nella Nuova Aquitania. In queste zone gli ugonotti non solo vivevano senza timori, ma si organizzavano in quasi completa autonomia anche da un punto di vista militare. Sarà del 1628 l’intervento della Corona per riconquistare il controllo di La Rochelle, mettendo così termine a guerre che comunque si erano protratte anche oltre l’Editto di Nantes.
Quest’ultimo verrà poi revocato nel 1685 con l’Editto di Fontainebleau sotto re Luigi XIV (1638-1715), il Re Sole, i cui ministri percepiranno, giusto quanto sopra detto, lo spirito anarchico del protestantesimo e quindi potenzialmente dissolutore dell’autorità in ogni ambito, quindi anche in quello politico.
La storia di Ginevra, che sotto il riformatore francese Jean Cauvin (3) — italianizzato in Giovanni Calvino — (1509-1564) ha visto la creazione di un governo protestante radicalizzato, offre poi all’autore l’esempio storico in piccolo degli esiti nefasti per l’autorità politica dello spirito dissolutore del protestantesimo; in tale città si compie infatti, per colpa del calvinismo, un esperimento rivoluzionario «di marcia rapida» (4), per usare la felicissima espressione del pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), «esagerato» nelle parole di Maistre.
La lettura del testo di Maistre offre, fra le altre opportunità, la possibilità di identificare lo spirito della Rivoluzione — con la «R» maiuscola — cioè di quel processo plurisecolare che, coerentemente con le premesse avviate dalla Riforma protestante, ha cancellato Dio da ogni ambito della vita dell’uomo occidentale. La Rivoluzione ha potuto compiere ciò destituendo anzitutto coloro che, nelle quattro dimensioni fondamentali della vita umana — relazione con Dio, con gli altri, con le cose, con sé stessi —, rappresentano naturalmente e provvidenzialmente, seppure «come in uno specchio, in maniera confusa» (1Cor. 13,12), l’ombra di Dio nella vita umana: il Papa, i sovrani, gli imprenditori, i genitori (5). Essa li ha combattuti facendo maliziosa confusione fra i limiti umani degli incaricati e la necessità del ruolo, affermando che, se il Papa non è santo, allora il papato è un’istituzione da abolire; se gli uomini politici mancano ai loro doveri, allora la sovranità va abbattuta; se i datori di lavoro sono degli sfruttatori, allora la proprietà privata è un furto; se i genitori sono degli ipocriti e dei litigiosi, allora la famiglia è una gabbia da cui evadere.
Maistre aiuta a disintossicarsi da queste cattive conclusioni; e se un problema posto bene è già mezzo risolto, una buona diagnosi è già mezza terapia: la Rivoluzione si sconfigge con la sola obbedienza (6); e, per certo, essa va proclamata, ma anzitutto va praticata, in prima persona.
Note:
(1) Per la vita, cfr. Henri de Maistre (1957-1996), Joseph de Maistre, Perrin, Parigi 1990; due utili presentazioni in italiano del suo pensiero sono Marco Ravera, Introduzione al tradizionalismo francese, Laterza, Roma-Bari 1991, soprattutto pp. 10-54, e Domenico Fisichella, Joseph de Maistre pensatore europeo, Laterza, Roma-Bari 2005.
(2) Su tale scuola cfr. Giovanni Cantoni, Plinio Corrêa de Oliveira al servizio di un capitolo della dottrina sociale della Chiesa: il commento del Magistero alla «parabola dei talenti», in Cristianità, anno XXII, n. 235, novembre 1994, pp. 17-24, ora in Idem, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008, pp. 143-161; Idem, Il contributo di Plinio Corrêa de Oliveira e di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» allo sviluppo del pensiero e dell’azione contro-rivoluzionari, in Cristianità, anno XXIII, n. 330-331, luglio-ottobre 2005, pp. 33-45, ora in Idem, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, cit., pp. 221-248; Idem, L’Insorgenza come categoria storico-politica, in Cristianità, anno XXXIV, n. 337-338, settembre-dicembre 2006, pp. 15-28; e Oscar Sanguinetti, Aspetti della visione della storia nel pensiero conservatore fra Ottocento e Novecento, in PierLuigi Zoccatelli e Ignazio Cantoni (a cura di), A maggior gloria di Dio, anche sociale. Scritti in onore di Giovanni Cantoni nel suo settantesimo compleanno, Cantagalli, Siena 2008, pp. 249-263.
(3) Cfr., fra l’altro, sul riformatore francese Roberto Spataro S.D.B., Un quinto centenario da «non» celebrare: la nascita di Giovanni Calvino (1509-2009), in Cristianità, anno XXXVII, n. 351, gennaio-marzo 2009, pp. 3-10.
(4) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., presentazione e cura di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009, pp. 61-69, soprattutto pp. 63-64.
(5) Cfr. una magistrale esposizione del concetto di Rivoluzione ibidem.
(6) Cfr. sant’Ignazio di Loyola (1491 ca.-1556), Lettera ai Gesuiti del Portogallo, del 26-3-1553, trad. it., a cura di p. Angelo Tulumello S.J. ed Enzo Farinella, in Idem, Gli scritti, a cura dei gesuiti della Provincia d’Italia, Edizioni Apostolato della Preghiera, Roma 2007, pp. 1233-1244; si tratta della mai abbastanza famosa lettera sull’obbedienza.